Gli scavi archeologici in contrada Mella di Oppido, poco discosto dal vecchio abitato medioevale di quest'ultima, nonostante l'interesse per l'antica città ricordata dal geografo greco-romano Strabone si sia dispiegato fin dal '500 almeno, sono iniziativa piuttosto recente. Il coinvolgimento di autorità e studiosi a riguardo, malgrado le tantissime segnalazioni di scoperta di materiale di una certa importanza avvenuta anche in evo moderno, ha avuto avvio soltanto col l98l. Una manifestazione propagandata con titolo "Alla riscoperta della vecchia Oppido" e attivata nell'agosto di quell'anno catturò subito l'attenzione di studiosi e turisti, tra i primi il prof. Andrè Guillou della Sorbona di Parigi e funzionari della Sovrintendenza Archeologica della Calabria. Altra simile venne reiterata due anni dopo in occasione della ricorrenza del bicentenario del tragico terremoto conosciuto come il grande flagello.
Si rinnovarono nel secondo frangente le visite da parte di gente particolarmente impegnata nel settore e qualcuno suggerì di attingere ad una legge regionale appena promulgata, che prevedeva l'assegnazione di congrui fondi per la realizzazione di progetti riguardanti gli Itinerari turistici della Magna Grecia.
Unico urgente scopo si affacciò allora quello della valorizzazione del sito con la costruzione di una strada che potesse condurvi agevolmente tutti coloro che avrebbero avuto piacere a recarvisi.
Colta la palla al balzo, il sindaco del tempo, avv. Mittica, si fece in quattro per ottenere il finanziamento necessario, ma, dopo l'assegnazione dei fondi, ecco arrivare subito l'intoppo.
Onde poter realizzare quanto nei voti, la Sovrintendenza reggina pretese che, venendo a ricadere la strada in terreno rilevante per l'affioramento di materiale archeologico, si facesse prima una serie di opportuni carotaggi e prospezioni da affidare alla Fondazione Lerici. Si sacrificò, quindi, una certa somma e quale non fu la gradita sorpresa? Dalle indagini emerse che il sito custodiva nel sottosuolo per ampio raggio, ben dieci ettari, strutture che potevano risultare quelle di un antico insediamento.
Dato ciò, si diede mano da parte della Sovrintendenza a sondaggi mirati e venne fuori di tutto, strutture murarie, una strada acciottolata con carreggiata al centro e larga oltre 5 m. ed una conduttura d'acqua, i cui elementi attestavano chiaramente con tanto di bolli che il luogo era stato dimora di un antico popolo, quello dei Tauriani, oltre naturalmente a monete, in particolare dei Mamertini ed a vasellame e tegolame.
Era il l986. La notizia rimbalzò su giornali e televisioni, per cui non potè più ignorarsi l'esistenza di una scomparsa città, come gli studiosi di tempo in tempo avevano sempre riferito. Si trattava di resti del III e II sec. a. C., ma appresso sarebbe affiorato anche materiale del IV.
Stavano così le cose, quando se ne venne ad interessare il prof. Paolo Visonà, docente in una università USA, il quale vi condusse un'equipe formata interamente da elementi d'oltre oceano, che riprese sistematicamente gli scavi.
D'allora, i rinvenimenti si susseguono e produzioni d'ogni tipo vengono alla luce, case con pavimentazioni in cocciopesto, strade, armi, monete (un numero alto di conio mamertino, oltre ad altro delle zecche di Reggio, Locri, Hipponion, Siracusa ecc.), tegolame, vasellame, una statuetta rappresentante un attore della commedia, semi, resti umani.
Il prof. Visonà è pienamente convinto che, dopo duemila anni e passa di silenzio, l'antica città di Mamerto è stata finalmente restituita al mondo dei vivi e che la sua fine sia da prefigurarsi cruenta.
Dappertutto, infatti, si avvertono i segni di un'avvenuta violenza, come presenza di fuoco e proiettili in piombo e, naturalmente, tantissimi crolli. Fatti i debiti calcoli, ha quegli ipotizzato che l'abitato in questione sia potuto perire al tempo delle guerre annibaliche. Mamerto, città bruzia, con i suoi residenti che vivevano in case di mattoni uniti con malta fatta di fango e paglia, potè essere punita dai romani per la sua alleanza col grande nemico cartaginese? E' quanto ci si aspetta di conoscere dagli scavi in progressione preventivati per i prossimi anni.
La visita a Mamerto è agevole effettuarla nel periodo immediatamente susseguente alla campagna olearia, quando sul terreno non rimangono più i teli stesi per la raccolta delle ulive, lo stesso è sgombro dalle erbacce e si trovano sul posto in atto di operare gli archeologi, quindi nei mesi da maggio a luglio.
Il materiale archeologico rinvenuto a Mella è attualmente custodito presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Cal. in attesa di essere trasferito a Oppido, nel palazzo Grillo testè restaurato, per fare la sua bella mostra in un museo nuovo di tutto punto.
Nello stesso tempo che si scava a Mella ugualmente si opera sulla montagna che si affaccia su Oppido, in contrada Palazzo, dove sono stati rinvenuti i resti di un fortino di età bruzia, che si stima possa trattarsi di struttura posta a controllo di uno dei posti più strategici della via istmica tirreno-ionio.
Scavi archeologici d'un certo impegno sono stati condotti in passato, negli anni '30 e ripetuti di recente a cura di un'equipe dell'università della Calabria nella frazione Castellace, erede dell'antico centro di Buzano.
Le contrade Famogreco e Torreferrata, in particolare, hanno evidenziato ricchi corredi tombali di epoca ellenistica. Da Castellace proviene l'iscrizione dedicatoria ad Ercole reggino, che si trova custodita al Museo Nazionale di Reggio. Qui, peraltro, è conservata del pari quella preziosa tazza di Tresilico o coppa Cananzi, ch'è stata rinvenuta nel l904 in località Chiese carcate del territorio di Varapodio. Si tratta di una stupenda coppa vitrea con scene di caccia, corredata di due orecchini d'oro, ch'è conosciuta in tutto il mondo.
Rocco Liberti