Dopo Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca, il silenzio scese su
Leonzio Pilato. Solo nel 1579 Mehus trattò di Leonzio nelle pagime
introduttive dedicate all'epistolario di Ambrogio Traversari: agli
inizi di questo secolo, nel 1907, Nolhac, ne trattò e, da studioso
profondo qual era, non ne poteva fare a meno studiando il Petrarca.
Giovanni Boccaccio nella "Genalogia degli Dei Gentili" scrisse la
celebre frase che consegnò Leonzio Pilato all'immortalità "... Io sono
stato il primo, tra i latini, che da Leonzio Pilato, ho udito l'Iliade"
.
Sul luogo di nascita di Leonzio la confusione nacque dal fatto che egli
amava definire Tessalo, tanto era l'amore che portava per la sua patria
spirituale e letteraria, la Grecia. Ma che egli fosse un Italo--Greco
e, precisamente che era nato a Seminara, lo sapeva benissimo il
Petrarca "Leo Greco vere Calaber, sed ut ipsa vult Thesalus, quasi sit
grecum esse quam italum" .
Ma questo fatto fa onore a questo grandissimo figlio reggino se fin
d'allora capiva che più il campanile, vale la cultura. Non si sa quando
nacque, ma che Barlaam, l'altro grande di Seminara, lo volle come
discepolo lo dice lo stesso Leonzio: nel 1342 Leonzio è a Gerace quando
Barlaam nr divenne Vescovo.
Il Maestro, oltre la lingua e la letteratura greca, gli trasmise
l'amore per i viaggi e quel che, di inuietudine e di ansia, che ne
fecero, di Leonzio, un errabondo. Nei primi anni del 1350, Leonzio è a
Creta: nell'inverno del 1358 Petrarca, alla ricerca di un traduttore
delle opere di Omero, se lo fa presentare da un giurista, a Padova,
dove Pilato seguiva i corsi di studio. Leonzio incomincia a tradurre i
primi cinque libri dell'Iliade, poi preso da un irrefrenabile desiderio
di visitare la tomba del suo maestro, Barlaam, ad Avignone, dove questi
era morto, di peste, nel 1359, si sposta a Venezia.
Qui lo raggiunse Giovanni Boccaccio, che inviato da Petrarca, cercò di
trattenerlo in Italia per continuare le traduzioni dell'Iliade e
dell'Odissea. Per convincerlo, Boccaccio, gli promise la cattedra di
greco, nello Studio Fiorentino, ed uno stipendio. Poichè le lezioni
nello Studio Fiorentino iniziavano il 18 ottobre di ogni anno, siamo
certi che Pilato continuò le traduzioni, dall'autunno inoltrato e fino
al 1362. In quell'anno qualcosa successe se Leonzio riprende la via di
Venezia, dove s'incontra con Petrarca e lo stesso Boccaccio ma non
consegna le opere tradotte e commentate che, sembra, porti con se
imbarcandosi per Costantinopoli dove continuò i suoi studi. Nel
dicembre del 1635 mentre attua la sua traversata verso Venezia un
fulmine lo colpisce e muore.
Certamente Leonzio Pilato segue il destino degli uomini di cultura
meridionali che per essere tali, sovente, sono condannati all'anonimato
o ad argomenti di studio solo per specialisti, altrimenti non si
capisce come mai egli, al pari del Barlaam o di Gioacchino da Fiore,
non compaiono mai come argomenti di didattica nei programmi scolastici,
ad esempio, nel caso di Leonzio, quando, nelle scuole s'inizia lo
studio dell'Iliade e dell'Odissea .
Ma come iniziò la storia che rese immortale Leonzio?
Sappiamo che Petrarca, verso la fine del 1353, ricevette
dall'ambasciatore bizantno Sigero, un codice greco di Omero, ma non
essendo il Petrarca padrone della lingua greca, visto che il suo
maestro era già morto, gli venne il desiderio, di far tradurre il
codice, che conteneva l'Iliade e l'Odissea. Vagò per diversi anni nella
ricerca di chi aveva la padronanza e l'esperienza di una tale fatiga,
finchè trovò, insieme a Boccaccio che intanto aveva coinvolto nel
progeto, Leonzio, descritto curiosamente, come d'altronde lo fu
Barlaam, da Petrarca e Boccaccio, come " ... uomo orrido nell'aspetto,
orripilante nel volto, con barba lunga e incolta, capigliatura corvina
e arruffata, , rozzo e negato ad ogni urbanità, però assai dotto nella
lingua greca ed inesausto conoscitore della mitologia greca" . A
Petrarca gli vennero nelle mani, dopo il 1365, le copie tradotte e
commentate dell'Iliade e Odissea di Leonzio che questo stesso aveva
lasciato a Boccaccio quando partì da Firenze . Le copie che si
salvarono dal naufragio capitarono nelle mani di un umanista del XIV
secolo che vi appose alcune note e che li ricopiò nel Paris lat. 7881.
Nel secolo XV secolo l'Eneide e l'Odissea passarono nelle mani di
Pietro da Montagnana, che vi aggiunse, a sua volta, alcune note. Poi
per curiosità o per un ormai rarissimo metodo di ricerca sistematica,
verso la metà di questo secolo uno studioso di origine venete, Agostino
Pertusi, ha individuato nei fondi manoscritti di due biblioteche
italiane gli autografi di Leonzio, la traduzione "Verbum de verbo"
dell'Ecuba di Euripide nei codici Laur. XXXI 10 e il S. Marco 226. La
scrittura di Leonzio è una scrittura in latino di tipo gotico
minuscola, di aspetto un pò strano, a prima vista, come di un amanuense
straniero che tracci a fatica certe lettere. |